Le tombe dei naufraghi

35°30'13.8'' N 12°37'17.1'' E

Le tombe dei naufraghi

35°30'13.8'' N 12°37'17.1'' E

Quale mondo giaccia al di là di questo mare non so,

ma ogni mare ha un’altra riva, e arriverò

Cesare Pavese

Non è facile scorgerle tutte, non perché siano celate, anzi, ma perché sono tombe tra le tombe. Disseminate tra quelle dei residenti di Lampedusa, con gli stessi elementi decorativi, giacciono le vittime della traversata. Una collina di Spoon River dei figli del mare e di chi nel mare ha provato a rinascere ancora una volta, lontano dalla guerra, dalla fame, dalla povertà.

Dal cimitero di Lampedusa non si vede il mare, ma si sente, e si legge, nelle storie delle tombe che ospita. Alcuni hanno un nome, come Eze Chidi-Ezequiel ed Ester Ada, che sono sepolti vicini. Il primo nome è stato scoperto grazie al vice parroco di allora, che chiese ai sopravvissuti di quel viaggio notizie del ragazzo morto durante la traversata. Ester Ada, invece, 18 anni nigeriana, nel 2009 fu recuperata in mare già morta dall’equipaggio del mercantile turco Pinar insieme con altri migranti. Il suo nome è certo perché insieme a lei in quel viaggio c’era anche il fratello.

Altri sono solo un ricordo, un luogo nel quale commemorare non solo quel corpo senza nome, ma un mondo intero, quello dei migranti, dei viaggiatori, delle genti di mare e di terra che ogni giorno si conquistano la vita con fatica.

Alcuni sono solo un racconto. “Pare che si chiamasse Yassin, che venisse dall’Eritrea, che fosse stato arrestato senza motivo e chiuso in uno dei tanti lager libici. Pare che avesse un bimbo e una moglie in un centro di accoglienza in Svezia e che volesse raggiungerli. Certo è che il suo corpo è arrivato senza vita a Lampedusa il 7 settembre del 2015”, recita una lapide di un corpo senza nome, ma racconta molto di più: racconta di persone che in barca, magari nel cuore della notte del Mediterraneo, si sussurrano nomi, storie, contatti. Perché se capita qualcosa di brutto, qualcuno possa raccontare la loro storia, avvisare dei parenti. In fondo le tombe dei migranti, a Lampedusa, sono anche le tombe di tante speranze. E grazie al lavoro di questi anni del Forum Solidale Lampedusa oggi hanno uno spazio per riposare.

Solo ai bambini è dedicato uno spazio apposito, tenue, come un giardino speciale, per quelle piccole e quei piccoli viaggiatori che non sapremo mai cosa sarebbero potuti diventare se avessero avuto un’opportunità. Le loro piccole croci sono realizzate con pezzi dei barconi di legno che per tanti hanno significato speranza, ma per troppi sono diventati una tomba.

Come per Yusuf, della Guinea, che aveva solo sei mesi quando nel 2020 è morto fra le braccia dei soccorritori, dopo essere caduto in mare dalle mani della madre non ancora diciottenne. Accanto alla sua lapide, colorata con la foto, qualcuno ha lasciato due scarpette azzurre e un biglietto. “Non ho potuto allungare la mano, ma sei con noi”. Il giorno del suo funerale una donna di Lampedusa ha messo sulle spalle della madre uno scialle in segno di conforto. Da qual momento – in Italia e nel mondo – c’è qualcuno che cuce all’uncinetto un quadrato di quella che ormai si chiama la “coperta di Yusuf”. Ogni quadrato è tassello di memoria. E ormai sono cento metri quadrati di stoffa. Il cimitero di Lampedusa, a cala Pisana, è un mondo intero, in una piccola isola del Mediterraneo. Tra le tombe svanisce qualsiasi differenza, di origine e di lingua, di cultura e di usanze. Sulle lapidi dei naufraghi, secondo un’antica tradizione dei pescatori lampedusani, sono disegnate conchiglie e stelle marine, piccole barche colorate, pesci e fauna marina, tartarughe e tutti ciò che per loro significa il mare, possa accompagnare i defunti.

Al fascino dei piccoli vecchi cimiteri, oggi, tra l’ala vecchia e quella nuova, si lavora a un progetto che creerà uno spazio condiviso, di raccoglimento, preghiera o riflessione, che sarà una zona d’incontro e memoria, come lo è Lampedusa, dove si incontrano da sempre storie e vite, ma anche troppe morti.

Podcast: Storia di Lampedusa - 8^ puntata

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